Il ruolo delle emozioni sul comportamento alimentare

Molto spesso nella vita quotidiana ci rendiamo conto di come emozioni e umore siano legati al cibo. Ma si tratta solo di una sensazione o è reale il ruolo delle emozioni sul comportamento alimentare?

Non è inusuale pensare che per esempio un po’ di cioccolata ci dia conforto dalla tristezza o che, se siamo arrabbiati, ci si chiuda lo stomaco. Esiste infatti una correlazione bidirezionale tra emozioni e approccio al cibo e tra alimentazione e umore.

Qual è il ruolo delle emozioni sul comportamento alimentare?

Le emozioni sono processi innescati da stimoli specifici caratterizzati da una valenza per il soggetto, ovvero da una percezione di piacevolezza o spiacevolezza. Nei confronti del cibo può capitare che le emozioni siano lo stimolo (trigger) di un abbuffata (per esempio), oppure viceversa il cibo può essere usato come strumento per regolare le emozioni negative.

I meccanismi che potrebbero portare a questo risultato sembrerebbero essere 3.

  1. Il primo è correlato alla serotonina, un ormone prodotto in risposta all’assunzione di cibo (carboidrati soprattutto), che ridurrebbe l’intensità delle emozioni negative.
  2. Il secondo è legato al funzionamento del sistema nervoso simpatico/parasimpatico per i quali, fisiologicamente, la paura o l’ansia sarebbero incompatibili con l’atto di mangiare: pertanto pare che durante l’alimentazione queste emozioni vengano temporaneamente alleviate.
  3. In aggiunta a ciò, ci sarebbe anche l’abitudine al comportamento, ovvero l’associazione stimolo-risposta, per cui se ripetutamente quando provo ansia -> allora mangio, con il tempo diventerà sempre più difficile distinguere tra fame e ansia.

La fame: stimolo biologico o altra sensazione?

Non è così scontato che la fame sia innata, quindi che ci sia un collegamento tra “ho fame -> allora mangio”. La ricerca di cibo risponde a troppi fattori, talvolta biologici, talvolta emotivi. Questi ultimi in particolare spesso hanno radici così profonde e antiche (infanzia) che non siamo più capaci a distinguerli. Bisognerebbe imparare ad organizzare le emozioni e le sensazioni corporee, riconoscendo rabbia, tensione, ansia, tristezza, allegria e fame/sazietà (leggi anche questo articolo).

Dove nasce il problema?

E’ piuttosto normale che in presenza di tristezza ci sia una riduzione della motivazione a mangiare, così come in situazioni di allegria dovrebbe aumentare l’appetito e la gradevolezza del cibo. Ma in questo modo l’approccio al cibo subirebbe normali e comprensibili alti e bassi. Il problema nasce quando, per questioni più profonde e intime, l’atteggiamento nei confronti del cibo diventa sempre lo stesso a prescindere dall’emozione provata. Può capitare quindi che il soggetto abbia sempre lo stesso comportamento (per esempio sempre abbuffate o sempre digiuni) a prescindere dallo stimolo emotivo. A seconda della propria predisposizione, per esempio, potrebbe avere un’alimentazione ipercalorica sia che provi rabbia, sia che provi frustrazione. Viceversa potrebbe avere un atteggiamento restrittivo sia nei periodi di ansia che in quelli di tristezza. In questi casi, con il tempo, la composizione corporea, il peso, la forma fisica e lo stato nutrizionale mutano (per eccesso o per difetto) provocando effetti collaterali, anche seri, per la salute.

Ecco allora che diventa indispensabile ricercare consapevolezza di sé, del proprio corpo e delle proprie emozioni. Chiedere aiuto e sostegno ad uno o più professionisti della salute può essere un passo importante per non trovarsi soli di fronte ad ostacoli molto difficili da superare.