Carenza di ferro nell’alimentazione: correzione e prevenzione

Il ferro è molto prezioso per il nostro organismo, ma spesso è molto difficile assorbirlo in quantità sufficienti.  Vediamo come possiamo provvedere alla correzione e alla prevenzione della carenza di ferro, specialmente per i soggetti più a rischio, le donne e gli atleti.

La carenza di ferro può compromettere la funzione muscolare e limitare la capacità di lavoro, portando stanchezza, affaticamento precoce e, specialmente in chi pratica sport, compromissione della prestazione atletica. Lo stato di ferro subottimale spesso deriva dall’assunzione limitata di fonti alimentari di ferro-eme (vedi oltre) e dall’assunzione inadeguata di energia con la dieta.  Inoltre, altri fattori che possono avere un impatto negativo sullo stato del ferro sono periodi di crescita rapida, allenamento ad alta quota, perdita di sangue mestruale, emolisi da piede (sport basati sulla corsa), donazione di sangue o ferite. Alcuni atleti nei periodi di allenamento intenso possono anche avere aumentate perdite di ferro nel sudore, nelle urine, nelle feci e dall’emolisi intravascolare.

Indipendentemente dalla causa, uno stato compromesso del ferro può avere un impatto negativo sulla salute, sulle prestazioni fisiche e mentali e richiede un pronto intervento nutrizionale, un’eventuale integrazione, e il successivo monitoraggio.

Come si “mangia” il ferro e come si può assorbire più facilmente?

Il ferro negli alimenti può trovarsi in due forme: il ferro eme, presente solo nella carne e nel pesce, e il ferro non eme, tipico degli alimenti vegetali. Mentre il ferro eme ha una disponibilità bassa (25%) ma costante, il ferro non eme può essere assorbito in modo estremamente variabile (1-25%), a seconda del tipo di alimento e della presenza di sostanze che ne inibiscono l’assorbimento, note come sostanze “chelanti”. Per esempio negli spinaci è presente moltissimo ferro, ma per l’elevato contenuto di alcune sostanze, chiamate ossalati e fitati, ne possiamo assorbire soltanto una piccolissima frazione.

Il ferro che si trova nel cibo in forma ossidata o ferrica (Fe3+), tipico degli alimenti vegetali, non può essere assorbito nell’intestino, se non dopo essere stato ridotto allo stato ferroso (Fe2+). Il fenomeno di riduzione del ferro è favorito dall’ambiente acido, infatti molecole come per esempio l’acido ascorbico e l’acido citrico presenti nella dieta (agrumi, succo di limone e arancia, kiwi, frutti di bosco, ecc) sono in grado di formare nello stomaco complessi solubili con il ferro che ne facilitano l’assorbimento. Grazie a questi acidi organici, è possibile sottrarre il ferro non eme dal legame con gli inibitori dell’assorbimento, pertanto la loro assunzione deve avvenire contestualmente a quella degli alimenti ricchi in ferro. Si stima che 25 mg di vitamina C (circa 50 cc di succo di arancia) possano raddoppiare l’assorbimento di ferro vegetale e 50 mg di vitamina C possano aumentarlo di 3-6 volte. Anche amminoacidi e fitocomposti solforati (presenti in aglio e cipolla) e beta-carotene (verdure e frutti di colore arancione-rosso) formano con il ferro composti solubili di più facile assorbimento.

Per essere più disponibile il ferro deve trovarsi in forma solubile, pertanto tutti i fattori che ne riducono la solubilità ne inibiscono l’assorbimento: si tratta di fitati, calcio, polifenoli presenti in the, caffè, cacao. Oltre ai fitati, i tannini presenti specialmente in the e spezie riducono del 50% l’assorbimento del ferro non eme, così come avviene per il caffè e il cacao, ancor più se unito al latte; pare infatti che il calcio contenuto nei derivati del latte possa ridurre l’assorbimento del ferro fino al 50-60%. Ecco perché sarebbe meglio evitare una classica combinazione come spinaci e formaggio.

Se da un lato è vero che il ferro dei cibi vegetali aumenta proporzionalmente al contenuto di fitati e fibre, dall’altro pare che la grande quantità di acidi organici tipica delle diete ricche di verdura possa bilanciare la disponibilità del ferro. Inoltre, l’attività chelante dei fitati presenti nei legumi e nei cereali può essere diminuita attraverso alcune metodiche di preparazione, come l’ammollo, la germogliazione, la lievitazione e la fermentazione. Il consumo di fagioli di soia (e altri derivati della soia) può essere un buon sostegno, specialmente negli stati carenziali, poiché in questo particolare legume il ferro è legato alla ferritina e viene assorbito per in modo simile al ferro eme della carne).

Coprire adeguatamente i fabbisogni di ferro potrebbe essere difficile, soprattutto se si considera che le richieste di ferro aumentano ulteriormente in alcune situazioni fisiologiche, come nelle donne in età fertile o in gravidanza, durante l’accrescimento o in caso di aumentate perdite.

Le strategie nutrizionali per assorbire il ferro più facilmente

Poiché sarebbe preferibile ricorrere agli integratori di ferro solo in seguito a specifiche valutazioni cliniche che permettano la diagnosi di uno stato carenziale, la dieta di chi può essere a rischio di carenza dovrebbe prevedere una serie di accorgimenti nutrizionali utili per favorire l’assunzione di ferro eme e aumentare la disponibilità del ferro non eme:

  • Assumere con la giusta frequenza cibi ricchi in ferro eme
  • Abbinare agli alimenti ricchi in ferro non eme piccole porzioni di vitamina C e alimenti ricchi in acido ascorbico come succo di limone, arancia o altri agrumi, kiwi, frutti di bosco
  • Quando possibile cucinare le pietanze ricche in ferro con aglio e cipolla
  • Ridurre l’azione dei fitati presenti nei cereali e nei legumi attraverso metodi di macinazione, ammollo e germinazione, lievitazione acida del pane
  • Evitare di assumere latte o latticini contestualmente ad alimenti ricchi in ferro
  • Limitare il consumo di caffè, thè, cacao
  • Consumare regolarmente alimenti fortificati (come cereali da colazione)